Red Dead Redemption 2

Nel 1899 l’era dei fuorilegge e dei pistoleri stava giungendo al termine. L’America stava diventando una terra governata dalla legge… Anche il selvaggio West era stato domato.


C’era una volta il West, selvaggio, ricco di possibilità per tutti, con un futuro ancora da scrivere. Questo è stato quello che ha pensato Rockstar North otto anni fa, quando iniziò a produrre questo nuovo titolo. In una America che precede di un pugno di anni il primo Red Dead Redemption, vediamo il sorgere imperioso della civiltà e della legge, su quelle terre dove prima vigeva la legge della pistola e della violenza. La frontiera è oramai scomparsa ma non sono ancora svaniti coloro che la abitavano, come la banda Van Der Linde di cui il protagonista, Arthur Morgan, fa parte.

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Il mio nome non è Nessuno. Questo nuovo titolo non condivide quasi nulla del suo DNA da purosangue con il fratello maggiore, bandiera della compagna, Grand Theft Auto, se non il fatto forse di trovarsi sempre dall’altra parte del distintivo. Il gioco sa essere molto punitivo, capace di incriminarci di reati, anche lievi, come la violenza su animali, facendoci perdere tempo prezioso a scappare pur di evitare il temibile confronto con la legge. Ben presto si nota di come, in accordo con il sistema di onore presente nel gioco, farei criminali al di fuori delle missioni principali, paghi molto poco, con ricompense spesso ridicole, gravate dalla perdita di punti onore, che andranno così ad influire sui dialoghi con gli NPC. L’AI dei nemici ha fatto notevoli passi in avanti, rivelandosi letali ma non più di quanto ci aspetteremmo, divertenti, ma non stupidi. Hanno trovato il mix giusto per rendere l’esperienza pienamente godibile, anche se certe volte, si vede chi dei due ha un cervello di silicio.

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Per un pugno di dollari, questo è il vero motore della trama. Un pugno di dollari nascosti a Blackwater, lasciati lì in attesa del ritorno della banda di Dutch Van Der Linde, che ha puntata su di sé l’attenzione dei cacciatori di taglie di tutto lo Stato. Fuggiti in montagna, la banda di Dutch cercherà di sopravvivere come può ad est, lontani da occhi indiscreti, nel tentativo di far calare la polvere, per piombare poi in città, a riprendersi il tesoro nascosto, prima che qualcun’altro lo trovi.

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Casa dolce casa. L’espediente della fuga da Blackwater ha permesso a Rockstar di puntare sul semi nomadismo della banda, creando un sistema completamente nuovo per la serie che da un sapore di gestionale, per accontentare anche gli utenti più avvezzi al genere. L’accampamento della banda sarà gestibile in vario modo: costruendo miglioramenti, andando a caccia o pesca per sfamare i componenti di questa strana famiglia, sbrigando lavori utili, come tagliare la legna ed aiutando i membri della banda nelle loro imprese individuali. Il sistema di onore subirà una netta influenza da parte di questi comportamenti, anche se, a detta degli stessi sviluppatori, prendersi cura del campo base non sarà obbligatorio ai fini del gioco, lasciando la meccanica gestionale del tutto indipendente dalla storia, rendendo liberi da tediosi vincoli i giocatori affatto interessati al genere, ma che nel complesso, rende a mio avviso più profondo e curato l’ambiente di gioco, visto il realismo globale di cui si fa carico il capitolo Rockstar.

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Conoscendo la casa di sviluppo, so che prima creano la mappa di gioco e poi su quella sviluppano le missioni, ma se in GTA 5 ho avuto da ridire sull’inespressiva vastità di Los Santos, così enorme e così poco interattiva, questa volta devo restare muto. Da Valentine a Saint Denis, che per inciso, è un capolavoro di world design, il mondo è vario, vivo, originale nelle sue sfumature, ricco di dettagli nel piccolo e di ampio respiro nel grande. Girando per le città più grandi ci sentiamo parte delle centinaia di dialoghi fra i personaggi che ci circondano, sia che ci troviamo al mercato, sia vicino ai quartieri residenziali. E’ qualcosa che a mio avviso non si era mai riuscito a fare prima: rendere partecipi il giocatore dell’ambiente, mettendolo a suo agio in un mondo digitale, senza far percepire il distacco, complice anche credo la prima persona, che come in GTA 5 permette di navigare nel mondo da una prospettiva diversa da quella canonica di Rockstar. Grandi pianure in cui andare a caccia, nebbiose foreste in cui temere un agguato da banditi, città abbandonate per qualche strana malattia e ranch collocati nel nulla della prateria. Red Dead Redemption 2 trasuda un aroma di spaghetti western che il primo capitolo riusciva a realizzare solo in parte, con le sue brulle distese di New Austin, arroventate da un sole da mezzogiorno di fuoco.

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Good luck, Jack. Torna con molto piacere John Marston, di cui approfondiremo il background nelle varie missioni, spiegandoci come si arriverà ai fatti che andranno a comporre il primo Red Dead Redemption. Non sarà l’unica sorpresa del precedente capitolo a “tornare” a farci visita però, difatti è stata inserita anche la mappa del primo titolo, Messico escluso, capace non solo di farci riaffiorare ricordi, ma anche di raccontarci nuove storie che si andranno a ricollegare con quanto già sapevamo.

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Furia cavallo del West. Il cavallo, vera e propria casa mobile, fa da coprotagonista in questo titolo, ancor più che nel precedente. Spazzolare, nutrire, personalizzare la propria cavalcatura sono solo alcune delle cose che potremo fare. A livello estetico e di animazioni è quanto di più convincente mai visto, soprattutto su console, con vene e muscoli che si gonfiano rendendo spettacolare, ed inspiegabile, un simile livello di dettaglio su dispositivi di questa generazione, che credevamo oramai insuperabile dopo titoli come Horizon Zero Dawn, God of War o Spiderman. Molto lontano resta il cavallo sfornato da Warhorse in Kingdome Come: Deliverance e finalmente si vede completato il processo di maturazione dello sviluppo da quel grottesco animale presentato in Skyrim che però ha saputo scrivere una pagina nella storia. Allo stesso modo, ma in senso positivo, credo abbia fatto anche questo Red Dead Redemption 2, superando tutto e tutti con animazioni a dir poco sorprendenti e che toccano vette di realismo a cui la concorrenza sbava dietro.

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Il Buono, il Brutto, il Cattivo ed il Redento. Il titolo dell’opera non è casuale nemmeno questa volta. Se il conflitto interiore di John Marston era al centro del primo capitolo, Arthur Morgan non è da meno. La ricerca della pace, l’attrazione inevitabile della civiltà, dell’ordine, del sistema e della legge, è forte, ed inevitabilmente attrae a sé. Dall’altra parte, la lealtà all’uomo che l’ha cresciuto, alla famiglia che l’ha accolto da piccolo e che ha gli ha donato tanto. Arthur Morgan ha avuto molte possibilità, molte le ha sprecate. Conteso fra queste due forze, la crescita di Arthur farà parte di noi, come noi faremo parte della sua, influenzando le sue scelte per portarci poi, ai finali.

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Provato su XBox One S, Red Dead Redemption 2 si mantiene quasi sempre fisso sui 30 FPS, anche se in zone più cariche, come Saint Denis, si avverte il sensibile calo, cosa che su XBox One X e PS4 Pro non accade. Globalmente si pone su un livello superiore, in dettaglio ed estetica, al pari se non sopra con i “tripla A” di questa generazione, con scorci mozzafiato su vedute spettacolari ed effetti particellari magnifici. Fango, neve, sangue, luce, tutti dinamici e responsivi all’ambiente di gioco.

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L’unica pecca? Questo gioco non esiste per PC, che sicuramente con hardware più performante e le “nuove” tecnologie di Ray-Tracing potrebbero davvero portare la qualità complessiva a livelli estremi con prestazioni del gioco maggiori rispetto a quelle risicate delle console, ma chissà che questa frase un giorno non venga smentita… speriamo il prima possibile.

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Dopo quasi un mese dalla sua uscita, Red Dead Redemption 2 rimane saldamente in prima posizione nelle vendite di tutto il mondo, ed un motivo ci sarà. Coinvolgente, realistico (certe volte forse fin troppo), dannatamente bello e divertente. Da solo meriterebbe l’acquisto di una console per poterlo giocare. Dall’aspetto grafico al gameplay, dai dialoghi alla trama, alle missioni alla musica, ogni dettaglio è curato e difficilmente si trovano parole per descriverlo. Per chi viene dagli spaghetti western e pensando a questo gioco viene da fischiettare Morricone, la scelta è solo una: comprarlo. La campagna da sola è capace di soddisfare le esigenze di ogni giocatore; per l’online c’è invece ancora da attendere. Era il gioco che serviva per concludere in bellezza questa generazione, che sta oramai lentamente cavalcando verso tramontando, ma che ci dimostra essere capace di sfornare ancora oggi questi capolavori.

9.5/10

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