Dal regista di “007: Skyfall” Sam Mendes, con 10 nomination agli Oscar 2020, “1917” non poteva non essere oggetto recensione in questo periodo. Da dove iniziare quindi?
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Francia: prima Guerra Mondiale, un giovane soldato riposa appoggiato ad un albero. Viene svegliato da un commilitone che lo invita a raggiungere la tenda del Generale (Colin Firth), ordinandogli di portare con sé qualcuno: una missione li attende.
Il fronte è cambiato dopo Verdun e la Somme ed i tedeschi sembrano aver lasciato incustodite le prime linee per fortificarsi nelle retrovie. L’avanguardia inglese è a ridosso del nuovo fronte, pronti a lanciare un’offensiva contro quella che credono essere una linea tedesca mal fortificata, ma che dalle foto aeree si rivela essere una trappola. Con le comunicazioni interrotte fra il Comando e l’avanguardia inglese, l’unica soluzione per evitare un massacro è mandare qualcuno ad avvisarli.
La premessa, così posta dal regista nei primi minuti della pellicola può sembrare molto avvincente, ma inizia a dare i primi segni di debolezza subito dopo. Caso vuole infatti che uno degli ufficiali del battaglione inglese sia proprio il fratello del protagonista, che viene posto come primario incentivo per la riuscita della missione. Cosa ci ricorda questo?
Avete indovinato? A me ha ricordato tremendamente proprio il colossal di Spielberg e non solo per la storia del fratello da salvare, ma proprio per l’epopea che c’è dietro, con le debite proporzioni. La costruzione non è proprio delle più originali ma ci si passa sopra. Quello al quale è difficile passare sopra è la superficialità di tutti i personaggi ma ci arriviamo con calma.
Iniziamo a parlare seriamente del film ora, continuando questa unica grande carrellata (e queste parole non sono un caso). D’ora in poi parlerò liberamente del film, quindi attenti agli spoiler.
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Il tempo è poco: l’offensiva contro le linee tedesche sarà all’alba e siamo già a pomeriggio inoltrato. Blake e Schofield, i due ragazzi, si mettono subito in marcia, cercando per prima cosa un modo per uscire dalle linee inglesi, per poi attraversare la terra di nessuno. Il film, in questo punto raggiunge il suo culmine di bellezza secondo me, quando il regista riesce a creare un alone di mistero e paura attorno a quei fili spinati deserti, rendendo terrificanti le buche create dai martellanti colpi dell’artiglieria, ora laghi di fango in cui galleggiano cadaveri. Topi, vermi, mosche e corvi si cibano delle carcasse decomposte sparse per il campo di battaglia, diventati veri e propri punti di riferimento per gli esploratori e per le sentinelle inglesi. In questa brulla landa di fango e alberi spezzati avanzano i due, con il nemico che potrebbe attendergli dietro ogni sasso ed in ogni fossa.
La nebbia tiene sospeso ogni discorso, la paura frena ogni sospiro. Un campo di battaglia così “bello” nel cinema s’è visto poche volte, ancor meno se contiamo solo i film sulla prima Guerra Mondiale. Poi tutto cambia, il climax precipita, come un aereo e si spezza la magia.
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I due recuperano un soldato tedesco ferito, da poco precipitato con il suo aereo vicino a loro, ma questi dopo esser stato salvato, accoltella (fuori campo) quello che fino a quel momento era il protagonista, ossia il soldato Tom Blake (quello di cui si deve salvare il fratello per intenderci). Muore così dopo meno di un quarto del film il personaggio principale, passando ora il testimone all’altro, che fino a pochi minuti prima voleva arrendersi e tornare indietro.
La morte tragicomica dell’amico però non demoralizza Schofield che si ritrova magicamente circondato da soldati inglesi che passavano di lì per caso e che nei movimenti di camera precedenti non si sono visti nemmeno per sbaglio. Passiamoci sopra poiché qui incontriamo il capitano Smith (Mark Strong) che avverte il nuovo protagonista di stare attento al comandante Mackenzie, capo del battaglione di avanguardia, poiché questo, quasi come un colonnello Kurtz, pratica metodi severi ed è più interessato a fare la guerra che a vincerla. Ricordatevi questo dettaglio.
L’avanzata continua con molti intoppi finché giunge la sera ed il nostro eroe, dopo aver abbandonato il convoglio di Smith, rischia di essere ucciso innumerevoli volte da un solitario cecchino tedesco. Il problema è nella carrellata di presentazione: ora mi spiego.
Guardate attentamente questa inquadratura di Schofield e guardate la linea dell’orizzonte: vedete una città sulla sinistra? No? Sicuri? Nemmeno io se è per questo.
Purtroppo online sono molto difficili da reperire i frame esatti, ma il regista fa spuntare dal nulla un paesino distrutto a poche centinaia di metri dall’immagine qui sopra. A causa della tecnica di regia utilizzata da Mendes posso comprendere il motivo dietro a queste “”sviste”” ma che per un film con è stato candidato agli Oscar con 10 nomination mi sembra un po’ troppo.
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La scena della fuga nel paesino però è molto bella e spettacolare, con giochi di luce magnifici (la scena della chiesa in fiamme è davvero degna di nota). Mi da fastidio poi vedere come vengono buttati dentro personaggi, tipo una donna con una bambina, che sono assolutamente inutili ed evitabili, che non aggiungono niente alla trama se non un po’ di contesto ma che né commuovono né convincono. Peccato.
Dopo rocambolesche fughe da tedeschi ubriachi, Schofield, spogliato delle razioni, del cibo e dell’arma, raggiunge all’alba, per pura fortuna, il battaglione inglese. Incontra la Sezione D, che in una scena ricca di pathos, canta, adunata in un boschetto, poco lontano dalla prima linea. Mancano pochi metri alla fine della sua missione: inizia così la ricerca (piuttosto lunga e noiosa) del comandante Mackenzie.
Ovviamente la prima ondata è già schierata nella trincea e pronta alla carica e visto che il nostro fortunato eroe ha molta fretta, decide di correre nel bel mezzo del campo di battaglia per saltare la fila, cosa inutile perché proprio in quel momento parte la carica e lui rischia stupidamente la vita, mettendo a rischio quella di quasi 2000 persone.
Sgranchitosi le gambe, finalmente arriviamo al cospetto del Colonnello. Smith ci aveva messo in guardia da lui, dipingendolo come un personaggio oscuro, poco interessato alla vita dei suoi uomini che vede solo come uno strumento. O Mendes vuole raccontarci anche l’odio ed i conflitti interno al Royal Army oppure ha tagliato la scena, perché il Mackenzie che ci troviamo davanti è solo dubbioso degli ordini che gli arrivano ma di cui si convince appena legge la lettera che Schofield gli consegna da parte del Generale. Fine. Dubbioso, non malvagio, tutto sommato uno spreco considerando che il ruolo è interpretato da Benedict Cumberbatch solo per una manciata di secondi.
Abbiamo quasi finito. Salvati quasi tutti i soldati, Schofield avverte il fratello di Blake della sua morte e chiede di poter scrivere alla famiglia per esprimere il suo cordoglio. Fatto ciò, cerca l’albero più vicino e per riprendere come l’inizio del film, si mette a riposare, ripensando alla moglie ed ai figli lasciati a casa.
Vedendo i trailer del film mi aspettavo un prodotto esteticamente molto curato, dal taglio molto moderno, cosa confermata anche dai poster e dalle locandine che spesso si trovano nei cinema. Questa mia prima impressione è stata confermata in parte e dalle immagini che ho messo potete anche voi scorgere il taglio fine, la cura per i colori e la scenografia (cosa che va premiata, anche con un Oscar) ma quello che non posso accettare sono le incongruenze, i personaggi piatti e la tediosità di certi momenti.
Nota a margine: i titoli dei vari capitoli di questa recensione non coincidono solo con il titolo del film, ma anche con il voto personale che do alle singole parti del film. Il regista vuole poi far sembrare un continuo tutto il film, senza stacchi, cosa ammirevole se unita al continuo sali-scendi di adrenalina, solo che la cosa riesce bene a volte, male in altre.
Per molti aspetti può essere paragonato a Dunkirk di Nolan, sia un po’ come stile del titolo, sia come cura tecnica che viene posta sopra la trama. Il fatto che entrambi siano film di guerra è un dettaglio, poiché in entrambi i casi il combattimento non c’è quasi mai ed i tedeschi non si vedono chiaramente in volto (o come qui, sono inquadrati male o in penombra). Poteva durare la metà (come questa recensione) ed essere incisivo il doppio (hey, proprio come questa recensione!) ma godibile a tempo perso. Oscar tecnici, ma i veri premi devono andare ad altri.
Salvate il soldato Ryan è un buon film, ma nella filmografia di Matt Damon c’è una gemma molto più splendente: Will Hunting – Genio ribelle. L’hai visto?
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Certamente. Damon è un attore molto versatile che ha recitato meravigliosamente in tanti film (forse perché guidato da ottimi registi, del calibro di Spielberg, Scorsese e Greengrass)
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Questo film invece è stato diretto da un regista quasi debuttante, ma è comunque ottimo: https://wwayne.wordpress.com/2019/11/09/deve-rimanere-un-segreto/. Grazie per la risposta! 🙂
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